Tra mappe interiori e geografie dell’anima

 

(introduzione al catalogo di Marco Crispano a cura di Giovanni Di Iacovo)

 

«La pittura è una ferita che diventa luce», scriveva Georges Braque. E nelle opere di Marco Crispano questa luce non è mai pacificata, mai interamente risolta: è una luce intermittente, che pulsa tra i lembi frastagliati della memoria e i margini opachi dell’esperienza. Ogni quadro si presenta come una costellazione instabile, una mappa mentale e sensoriale che sfugge alla topografia convenzionale per generare nuovi spazi di senso.

 

Il suo lavoro si muove lungo la frontiera mobile tra figurazione e astrazione, tra ricordo e percezione. È un processo di scavo e ricostruzione, di ascolto e riscrittura. Come annotava Gaston Bachelard, «la casa è il nostro angolo del mondo. È il nostro primo universo»: ma cosa accade quando quella casa viene disgregata, ricomposta, sublimata in paesaggio? Le opere di Crispano rispondono con forme fluttuanti, come relitti di mappe affettive, città zenitali viste attraverso il caleidoscopio dell’inconscio.

 

Nei lavori esposti in Via da Qui, si avverte una tensione visiva tra l’ordine e il caos, tra la logica sottesa delle strutture e il disordine emotivo delle superfici. Il nero di fondo, profondo e silenzioso, funge da vuoto generativo, un campo magnetico da cui emergono frammenti colorati come isole mnestiche, segmenti di paesaggi interiori. Le forme sembrano fluttuare, scontrarsi, accarezzarsi, rimanendo sospese in un equilibrio precario. È pittura che si fa geografia emozionale, come se l’artista stesse cartografando un mondo interiore fatto di sinapsi e ricordi, smarrimenti e ritorni.

 

La poetica di Crispano si radica in un pensiero profondo della soggettività. Le sue opere sono riflessioni visive sulla percezione del sé, sul processo di individuazione caro a Carl Gustav Jung. Non si tratta di rappresentare un’identità, ma di suggerirne la molteplicità, la discontinuità, l’emersione frammentaria. Ogni tela è un frammento del processo psichico: le forme si inseguono come pensieri inafferrabili, come tracce lasciate da un passaggio. Non sono oggetti: sono eventi.

 

C’è in questi dipinti qualcosa di musicale: un ritmo interno, una polifonia visiva di segni e colori che sembrano risuonare più che mostrarsi. Eppure nulla è lasciato al caso. La ripetizione di moduli, le assonanze cromatiche, le rime formali danno vita a una grammatica interiore rigorosa quanto emotiva. Come nei disegni automatici dei surrealisti o nelle mappe dell’inconscio di Arakawa e Gins, l’immagine non illustra: interroga.

 

La serie Via da Qui è un’indagine visiva sulla tensione tra orientamento e spaesamento, tra luogo e non-luogo. Le composizioni oscillano tra la precisione geometrica e la dissoluzione fluida, evocando la fragilità delle coordinate – geografiche, mentali, affettive. I paesaggi non sono mai dati: si formano davanti agli occhi, in una dinamica aperta e metamorfica.




Come scrive Italo Calvino nelle Città invisibili, «ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone». Così le città di Crispano, disegnate e poi destrutturate, emergono da un vuoto che le chiama e le trasforma. Sono città interiori, frammentate, impossibili: eppure necessarie.



E forse è in questa necessità che si cela il valore più profondo del progetto Via da Qui di Marco Crispano: non offrire risposte, ma rendere visibili i percorsi. Aprire luoghi dove abitare la complessità. Dare forma – seppure instabile – a ciò che la memoria trattiene, a ciò che l’emozione disegna, a ciò che la pittura, sola, può ancora

 

Giovanni Di Iacovo, scrittore, docente e già Assessore alla Cultura e Vice Sindaco della Città di Pescara